martedì 23 ottobre 2012

Berkley NanoFil





Non un filo. Non una treccia.. Così recita lo slogan con cui la Berkley, da molti reputata leader per quel che riguarda trecciati e monofili, ci presenta il suo ultratecnologico nuovo “attrezzo” da mulinello.
Di certo per molti ancora un oggetto misterioso. Così l'ho provato.
Questo ritrovato promette alti carichi di rottura con diametri ultrasottili, una grande lanciabilità, sensibilità estrema e via discorrendo.
Devo dire che non ho mai creduto troppo all’entusiasmo che un venditore ha nel suo prodotto, ma la curiosità per questo “non-tutto” di nuova generazione mi ha spinto a volerlo provare. La confezione, con quel look alla Terminator, è accattivante e ha contribuito ad alimentare qualche aspettativa. Non nascondiamocelo, davanti allo scaffale ben fornito del nostro negozio preferito, tra tutti quei minnow, e gomme e colori, tra tutti quei colori, siamo spesso noi pescatori ad abboccare.
Per creare il NanoFil la Berkley ha strizzato l’occhio, così come dice il nome stesso del prodotto, a quelle nanotecnologie che tanto stanno contribuendo a far balzare nel futuro le attrezzature per la pesca sportiva. Ormai la ritroviamo dappertutto la nanotecnologia: canne, mulinelli, ed ora anche in bobina.
Per fare un po’ di chiarezza su cosa sia questo oggetto del mistero, il NanoFil, diciamo che si tratta di un filato composto da una sorta d'intreccio di centinaia di nanofilamenti di Dyneema legati, appunto, a livello molecolare e modellati in un filamento unico.
Tutto questo popò di tecnologia “fanta-tessile” dovrebbe aver prodotto un monofilo morbido, ma sensibile, di facile lanciabilità, e con alti carichi di rottura anche a bassissimi diametri.
Queste almeno sono le promesse della  nuova generazione di filati da pesca. Ma le promesse, si sa, non sempre si riescono a mantenere, anche se le intenzioni sono nobili e le soluzioni scelte sono molto interessanti sul piano teorico.
Già imbobinarlo nel mulinello è un patema. La prima cosa che mi sono chiesto, sembrerà ridicolo, ma è stata proprio: ci devo fare un fondo? Non è un filo, non è un trecciato... Per con correre rischi ho imbobinato un po’ di buon vecchio, comunissimo, filo e sopra ad esso il NanoFil
Quella viscosità che dovrebbe agevolare i lanci, e quella sua particolare consistenza, non da mono e non da treccia, ci porta a dover lottare con una lunghissima anguilla che non vuole stare ferma. Appena si finisce di imbobinare e si taglia il filo questo inizia a scappare da tute le parti come una pompa da giardino che cerca di innaffiare il prato da sola. E per di più la memoria non è del tutto assente.
Insomma, abbiamo appena finito di imbobinare che già ci viene qualche dubbio. Ma l’entusiasmo è tanto: sono nuove tecnologie e vanno capite; un po’ come i capricci della fidanzata davanti a un vaso dell’Ikea.
Passiamo alla pratica. Siamo al primo lancio… e il NanoFil schizza fuori che è una bellezza raggiungendo ottime distanze, non so se tali da giustificarne il prezzo, ma decisamente apprezzabili. Anche la sensibilità non è male. Ltenuta all'abrasione mi è sembrata eccellente.
E qui, almeno io, mi fermo con le lodi.
Per la sua struttura e consistenza si distende malissimo in acqua, come una balena che cerca di nuotare come un delfino, e la tenuta al nodo è pazzesca. Non fraintendetemi, intendo che è proprio da pazzi sperare che tenga.
Se non si esegue alla perfezione uno dei nodi suggeriti, non a caso evidentemente, dal costruttore possiamo scordarci di sfruttare la sua mitica resistenza a diametri sottili. Il nodo cede, si scioglie come neve al sole, con conseguente perdita di artificiali, catture, e alla lunga pazienza. 
Soprattutto se parliamo di nodi di raccordo lenza-terminale, essenziali visto che questo “non-tutto” è tutto fuorché poco visibile in acqua. Quindi sarà meglio fare un bel doppio Albright esattamente come da figura allegata alla bobina, e pregare di averlo fatto bene.
Una cosa va detta, un dettaglio che, per come sono fatto già avrebbe dovuto farmi riflettere. In un'era in cui l’attrezzatura è sempre più mirata e specializzata ad un singolo utilizzo un filo che va bene un po’ per tutto, a detta sempre del costruttore, dalla bolognese allo spinning, forse doveva farmi riflettere su quell'ieda di compromesso che non amo molto nell’attrezzatura.
Insomma il NanoFil, è stata una delusione. Almeno per me. 
È stato un po’ come uscire con una bella ragazza che, però, scopriamo di non sopportare proprio fin dalla prima parola che spiccica. Un po’ come una modella con la parlata del compianto Ferruccio Amendola alle prese col doppiaggio di Tomas Milian, per intenderci. Un’abbinata insopportabile.
Battute a parte, capisco che ci sia qualcuno che ci si possa trovare bene, e che accetti di sborsare una cifra, a mio avviso esosa, per la resa. Per quanto le nuove tecnologie mi afficinano da sempre, non sono proprio riuscito a digerire questo filo. Continuo a trovare la mia fedele e cara treccia la compagna migliore per le mie giornate di lanci.

domenica 21 ottobre 2012

Pflueger Patriarch



Pflueger Patriarch 
(spinning)





Presentato all'ICAST del 2010 il Patriarch è il top di gamma della Pflueger sia nella gamma spinning che in quella casting. Entrambi sono mulinelli eccezionali, diciamolo subito, degni concorrenti di prodotti più noti e blasonati. Soprattutto per la fascia di prezzo in cui sono stati collocati (meno di 200 euro).
Ho testato entrambi, ma oggi voglio parlare del modello da spinning.
Il Patriarch è disponibile in quattro diverse taglie, tutte adatte anche al salt water, dal più piccolo 9525X da 195 grammi (0.16mm/100m) adatto allo spinning ultra light con trecciati sottili fino al più grande e “corpulento” 9540X (0.26mm/155m) .
Forse non tutti conoscono la Pflueger, ma scommetto che in tanti conoscono la Mitchell, che ha deciso di travestire un paio di Pflueger immettendo sul mercato il Mag Pro Lite ed il Mag Pro, o la Shakespeare per cui la Pflueger costruisce alcuni modelli.
Parliamo di un mulinello fatto a regola d’arte e abbastanza leggero, solido, affidabile e incredibilmente fluido, dotato di una componentistica di qualità e di ottimi materiali come carbonio e titanio.
Il design è accattivante. La manovella è in carbonio con impugnatura in EVA, di una lunghezza perfettamente indovinata e l’uso del carbonio, oltre che alleggerire il tutto, rende il look del Patriarch un po’ più “cattivo”, il che non guasta. Ha qualcosa nelle rifiniture e nell’aspetto che ricorda una muscle car americana. Roba da duri.
Il corpo, il rotore e le placche laterali sono in magnesio, e la bobina in allumino con mandrino anch’esso in carbonio, bellissimo anche solo da vedere. L’archetto invece è in alluminio, massiccio e sovradimensionato, e scatta in posizione di chiusura appena si sfiora la manovella, mentre il guidafilo è in titanio. 
La bobina è capiente e si imbobina bene, spire ordinate che garantiscono discreti risultati in fase di lancio. La frizione poi è spettacolare, e va dalle 8 libbre del 9525X alle 16 del 9540X. Precisa e regolabile, in carbonio di alta qualità.
Se la fluidità lascia piacevolmente impressionati, la frizione è ancora meglio. In pesca la si trova subito e si regola perfettamente, e con estrema precisione. Non cede un millimetro di lenza più del necessario, ed è pronta e infallibile. Anche pescando con diametri sottili si ha la certezza di essere supportati da una frizione che permette di trarre il massimo dal monofilo o dal trecciato scelto.
I cuscinetti sono ben 9+1 per l’antiritorno, in acciaio inossidabile.
Nel complesso è adeguatamente ergonomico e ben bilanciato, comodo anche per lunghe sessioni di pesca e di un peso ottimale. La velocità di recupero è 5.2:1 per tutti i modelli. Il controllo sull’artificiale è diretto. Per il rock fishing, e soprattutto uno spinning medio o leggero in acqua dolce, magari trote e back bass, credo che in questa fascia di prezzo non ci sia nulla di paragonabile a questo gioiellino. E neppure nelle fasce di prezzo subito superiori è molto facile trovare di meglio, ammettiamolo. 
Quello che proprio non mi piace è dover svitare ed estrarre la manovella per poterlo riporre nell’elegante custodia di cui è fornito. Ma con un po’ di cautela si può tranquillamente evitare di far entrar polvere negli ingranaggi o di perdere la manovella.



Nories Cranckin' Pupa


 Slow Dead Crancking



Quando si parla di un pesce come la trota il movimento è più che mai tutto. Ma anche la velocità a cui si recupera, o la lentezza di recupero, sono importanti.
La Nories ha sviluppato un piccolo cranck appositamente per il trout fishing, dotato di un movimento estremamente  attirante, e già dotata di monoamo: la Crankin Pupa. È un piccolo cranck, l’imitazione di una pupa, sicuramente un artificiale a cui anche la trota più apatica farà fatica a dire di no.
La pupa è disponibile in due versioni: la più leggera e compatta da 3,4 cm per 2,6 g di peso, e la più voluminosa, e dalla forma lievemente diversa, da 4 cm per 5,6 g di peso.
Entrambe micidiali, anche se dal prezzo non proprio abbordabile a tutti (dai 15 fin'anche ai 22 euro, al pezzo).
Il corpo è schiacciato, affusolato, ben bilanciato, il che permette tra l’altro una discreta lanciabilità; l’amo centrale è montato su un occhiello orizzontale con evidenti vantaggi, e l’assenza di rattle conferisce una vibrazione più naturale.
Talvolta può capitare che in fase di lancio l’amo posto sull’addome si vada a impigliare nel filo, ma la Nories ha pensato anche a questo, infatti la Pupa è studiata per bilanciarsi alla perfezione anche rimuovendo il primo amo. La cosa lascia un po’ perplessi, forse potevano  montare un solo amo senza creare troppo scompiglio, ma si saranno detti, come Totò e Peppino alla presa con la punteggiatura, che è meglio abbondare. Sta di fatto che la Pupa monta una coppia di ami Owner molto ben affilati.
A parte la discreta gamma di colorazioni, il peso e le dimensioni compatte, quello che davvero rende questo artificiale davvero speciale è la capacità di scodinzolare anche a velocità ridottissime dando tutto il tempo al pesce di percepirlo, individuarlo e attaccarlo anche se non è in piena attività, o in preda ad una sidrome da stress post trumatico dovuta ai troppi ami masticati.
Quando il pesce è in frenesia tutto o quasi va bene, ma è nei momenti di stanca, di apatia, coi pesci diffidenti che un buon angler deve saper dare il massimo trovando la strategia più efficace, e avere in cassetta un paio di “Pupe”  può essere la soluzione.
Il design è studiato alla perfezione: la Pupa è ben bilanciata e si lancia molto bene con la canna adatta. Recuperata, poi, lentamente, con movimento rettilineo è costante, la paletta dalla particolare forma (Coffin Lip) le permette di lavorare egregiamente nei primi strati d’acqua, fino a circa 1,8 m, emettendo vibrazioni estremamente catturanti che imitano quelle di un insetto caduto in acqua. Le rifiniture sono davvero eccellenti, sia per quel che riguarda gli occhi, che per la scelta deli materiali e delle colorazioni. Proprio la gamma di colorazioni poi ci darà modo di trovare sempre la soluzione ideale per ingannare una trota smaliziata.
Testandola in diverse situazioni ho scoperto che reali e bass non la disdegnano affatto regalando tal volta qualche piccolo, ma piacevole imprevisto.  
Insomma è una artificiale certamente costoso, ma anche decisamente catturante. Da usare con fiducia proprio nei momenti più ostici. 
Infatti è la Pupa stata studiata proprio per quelle situazioni: per il “Dead Slow Crancking”, ossia una tecnica di recupero lento, estremamente lento, da usare quando le trote sono sottoposte a una forte pressione di pesca, poco reattive, e si limitano ad attacchi più “prudenti”. 
Insomma, accanto agli ondulanti ed i cucchiaini, ai grub ed ai piccoli minnow, può essere vantaggioso avere una o due Pupette, tanto per stare sicuri. In fondo è meglio abbondare!